Locali della New Energym Personale di Silvana Stefanetto e Rey Graziano a cura di MariaLibera Amato
Palcoscenico dell’Anima
"I Colori della Pace", un titolo che oggi risuona con una forza e un’ urgenza quasi disarmanti. Di fronte ai conflitti che lacerano il nostro mondo, la domanda che gli artisti Graziano Rey e Silvana Stefanetto ci pongono è tanto semplice quanto profonda: quali colori possiamo dare alla pace? L’ arte non ha la presunzione di poter cambiare il mondo, ma ha il potere e il dovere di renderlo meno drammatico, di raccontare il disagio e l'inquietudine, di interpretare le sofferenze. In questo, Rey si inserisce in una nobile tradizione, quella degli artisti che non si sono mai voltati dall'altra parte. La memoria corre inevitabilmente a Pablo Picasso, che con la sua "Guernica" trasformò un grido di dolore in un simbolo universale contro la brutalità della guerra.
È con questo stesso spirito di denuncia e di speranza che nasce questa mostra.
Osservando le opere di Graziano Rey, potremmo a prima vista perderci nella loro bellezza astratta, nella loro musicalità. Ma se le guardiamo con gli occhi di chi cerca "I Colori della Pace", allora ogni tela si carica di un nuovo, potente significato. L'astrattismo di Rey non è una fuga dalla realtà, ma un modo per andare più a fondo, per rappresentare non la cronaca, ma la ferita che gli eventi sanguinosi lasciano nell'anima collettiva. In queste opere i colori sembrano esplodere. Quei vortici di blu, nero e bianco, squarciati da lampi di arancione, non sono più solo una danza cosmica, diventano l'eco di un'esplosione, il caos di un mondo in frantumi. La materia che si raggruma, che emerge dalla tela come una cicatrice, ci parla di distruzione, di macerie. È la "Pollution" citata nel suo percorso artistico: un inquinamento non solo ambientale, ma anche morale e spirituale. Eppure, anche nel caos, l'arte di Rey non è mai disperata. In mezzo ai colori più cupi, emerge sempre un bianco luminoso, un blu che tende al cielo, un viola che parla di spiritualità. Queste non sono forme di resa, ma atti di resilienza, sono bagliori di luce che nascono sulle rovine, simboli di una vita che, nonostante tutto, cerca di rinascere. Le linee sottili e vibranti che attraversano le tele diventano allora fili di speranza, legami di umanità che cercano di ricucire strappi laceranti.
Il filosofo Theodor Adorno che concepiva l’arte come luogo di resistenza, si chiese se fosse possibile scrivere poesie dopo Auschwitz. Oggi diciamo che non solo è possibile, ma è necessario. L'arte di Graziano Rey è una forma di resistenza contro il silenzio e l’indifferenza, se non è così allora l’arte e la cultura, per parafrasare Adorno, è solo spazzatura. •
Il suo linguaggio, proprio perché astratto e informale, diventa universale. Non ha bisogno di traduzioni per parlare di dolore, di smarrimento, ma anche di anelito alla pace. Le sue opere ci pongono di fronte a uno specchio. Non vediamo una scena di guerra specifica, ma sentiamo l'emozione universale che ogni guerra provoca: un'arte che ci costringe a interrogarci, a non essere semplici spettatori.
Ma cos'è la pace, se non una condizione dell'anima? E come può l'arte farsene interprete?
Graziano Rey ci offre una risposta potente e personalissima, un percorso che, come recita il testo di presentazione, parte dall'immaginario fiabesco di Chagall e dalla spiritualità del colore di Kandinskij per approdare a un
linguaggio unico, che è allo stesso tempo universale e profondamente intimo.
Un fare informale nel senso più puro del termine:che abbandona la forma riconoscibile per andare direttamente alla rappresentazione della materia e dell’emozione, privilegiando la spontaneità del gesto espressivo. È un artista che sperimenta incessantemente spazi, tecniche e materiali, trasformando ogni tela in un campo di scoperta senza limiti: una pittura che è ”una condizione dell’essere”, un atto creativo metamorfico che si manifesta davanti ai nostri occhi.
Osservando le opere esposte, ci rendiamo conto di non essere di fronte a semplici quadri, ma a veri e propri universi in miniatura. Lo sfondo, spesso un monocromo apparentemente neutro, che si colora di grigio, verde e blu, non è un semplice spazio d’azione, ma il silenzio primordiale da cui emerge il suono.
È il palcoscenico vuoto ancora in attesa, in perenne preparazione prima che la danza abbia inizio, dove le forme create da Rey diventano protagoniste assolute. Non sono figure, ma gesti espressi da movimenti liberi, gesti che evocano una musicalità profonda e una coreografia interiore.
In queste opere, dove i colori si muovono incerti oscillanti in uno spazio temporale non ben definito, vediamo esplosioni cromatiche che fluttuano leggere, come costellazioni o elementi eterei sospesi in un vuoto lirico, dove ogni macchia di colore è una nota musicale. Le linee sottili e scattanti che le attraversano sono arpeggi che danno ritmo alla composizione. Friedrich Nietzsche diceva: “ Non conosco altro modo di rapportarmi con i grandi compiti se non il gioco: questo è un segno della mia elevatezza". E l'arte di Rey è un gioco serissimo, una danza cosmica dove ogni elemento si muove in armonia con gli altri, creando un equilibrio perfetto tra slancio e quiete.
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In altre opere, il gesto si fa più denso, più materico. I vortici di colore ci trascinano in un movimento a spirale che è, al contempo, gorgo dell'acqua, formazione di una galassia e, soprattutto, turbine delle emozioni umane. Qui la pittura si fa quasi scultura. Rey scava nella materia, la sovrappone, la graffia, creando nuclei densi e rugosi che emergono dalla superficie. È un'archeologia dell'anima, un'indagine su ciò che si nasconde sotto la pelle della realtà.
Tutto questo ci conduce al cuore della poetica di Rey: il "sogno onirico primordiale". Le sue opere non raccontano sogni specifici, ma evocano lo stato stesso del sognare. Ci portano in una dimensione pre-logica, dove le emozioni si manifestano come pure vibrazioni. Il filosofo francese Gaston Bachelard scriveva ne La poetica della rêverie: "La rêverie è un universo in emanazione, un soffio odoroso che esce dalle cose per mezzo di un sognatore". Graziano Rey è quel sognatore, e le sue tele sono il soffio che emana dalle profondità del suo essere.
È un mondo primordiale perché attinge a un immaginario arcaico, dove il tempo ordinario si sospende e un singolo istante può contenere interi universi.
Le forme circolari e avvolgenti possono ricordare cellule, ammassi stellari, organismi acquatici. Sono simboli universali di nascita e trasformazione. È un'arte che ci parla di un tempo prima del tempo, di un luogo prima delle parole.
È onirico perché, come nei sogni, gli elementi fluttuano liberi, associandosi secondo una logica interna, non razionale. Un tocco di bianco può essere un lampo di coscienza, una macchia scura un'ombra dell'inconscio. È qui che l'arte di Rey tocca una verità profonda, quella che Carl Gustav Jung descriveva parlando dell'inconscio collettivo come fonte di creatività: un patrimonio di immagini e simboli condiviso da tutta l'umanità. Le opere di Graziano sembrano attingere direttamente a questo serbatoio universale di archetipi.
L’esposizione di queste opere è un invito a fermarsi e ad ascoltare. Ad ascoltare la musica silenziosa dei colori, a seguire la danza invisibile delle forme e, soprattutto, ad ascoltare la nostra stessa eco interiore. Le sue opere sono specchi che non riflettono il nostro volto, ma la nostra anima. La ricerca dell’ artista, dalla "Danza dei colori" alle "Gabbie", è un percorso che esplora le contraddizioni del nostro tempo. Le sue opere sono un campo di battaglia cromatico dove le forze della distruzione e della speranza si confrontano.
Uscendo da questa mostra, siamo invitati a portare con noi non solo il valore artistico di queste opere, ma anche l'appello che contengono. Un •
appello a non assuefarci all'orrore, a cercare attivamente i nostri "colori della pace" e a contribuire, come suggerisce l'iniziativa della grande tela bianca, a tradurre in immagini i nostri pensieri di pace.
Perché, come dice Graziano Rey, anche un singolo gesto, una singola pennellata, nello spazio sacro dei diritti umani, può essere un atto di trasformazione sociale.
Maria Libera Amato Torino 14 agosto 2025